Il cibo è il mio pensiero fisso

Il cibo è il mio pensiero fisso

Perché anche se sono a dieta e sto perdendo peso continuo a non piacermi? Perché anche se tutti mi dicono che vado bene non faccio altro che paragonarmi agli altri e io non risulto abbastanza? Se la tua forma fisica non ti piace è possibile che passi molto tempo a controllare il peso, quanto e cosa mangi. Allora ti faccio una domanda: hai osservato per caso se questo pensiero fisso del cibo e della bellezza ha dei periodi in cui è più marcato e degli altri in cui lo è meno?

Se la tua risposta è no, ti chiedo di prenderti del tempo per osservare meglio perché probabilmente il pensiero del cibo non è sempre stato così predominante e molto probabilmente noterai anche che ci sono periodi in cui diminuisce ed altri in cui aumenta. È molto probabile che tu possa osservare come in momenti di stress questo pensiero si faccia più invasivo, mentre quando l’umore è più tranquillo anche il rapporto con il cibo migliora.

Potrebbe essere molto utile individuare quali sono le situazioni che ti provocano maggiore stress: lo stare tra le persone, le relazioni amorose, lo studio o il lavoro, il rapporto con la famiglia, i cambiamenti come cambiare città, scuola, amici ec. Il cibo diventa spesso un catalizzatore dello stress, a volte usiamo il termine “una valvola di sfogo”. Io personalmente preferisco definirlo un “potente distrattore”. Significa che quando accade qualcosa nella nostra vita che ci turba il nostro cervello valuta automaticamente che noi non possiamo tolleralo, allora la nostra attenzione si sposta dalla situazione al pensiero della forma fisica e del cibo. Questo ci consente di non prendere contatto con una situazione che altrimenti risulterebbe per noi scomoda e difficile da affrontare. È un po’ come se ad un certo punto ci convincessimo che se la nostra forma fisica è perfetta allora tutto andrà bene, che se noi siamo belle o belli abbastanza allora verremo accettati dagli altri, avremo successo negli studi e al lavoro, avremo una vita più felice, potremo trovare un compagno o una compagna. Ma questa non è forse una semplificazione?

Se non ci sentiamo accettati dal nostro gruppo di amici ci possono essere molte cause: a volte è semplicemente che frequentiamo una ambiente non affine a noi, ma forse abbiamo paura del cambiamento e non sperimentiamo nuove amicizie. Se negli studi non abbiamo i risultati sperati dobbiamo lavorare sul metodo, e forse anche sulle aspettative eccessive che abbiamo nei riguardi di noi stessi. In base alla situazione vi sono cose che si possono fare per gestire meglio e in modo più efficace quello che sta accadendo, ma noi non possiamo sperimentare se la nostra attenzione è totalmente focalizzata sul pensiero del cibo e del corpo. Spostare l’attenzione è una forma difensiva di evitamento, ci consente di semplificare la realtà e ridurla ad un solo fattore: bellezza e forma fisica. Ma la realtà è complessa e le semplificazioni non ci aiutano sul lungo termine a trovare soluzioni efficaci ai nostri problemi, anzi spesso ne aggiungono altri a quelli già esistenti. Ad esempio se sto frequentando un gruppo di amici che non mi fa bene chiedermi se io ho qualcosa che non va e pensare che se fossi più bella/o tutto andrebbe meglio non solo non mi spinge a cercare nuovi gruppi di amici con cui potrei stare meglio, ma aggiunge anche il problema del mio sentirmi inadeguata/o e del rapporto morboso con il cibo.

Quindi cosa dobbiamo fare? Un buon punto di partenza è proprio quello di osservare in quali situazioni il pensiero del cibo e del corpo diventa preponderante ed in tal caso chiedersi: “ma cosa mi fa stare mal in questo periodo? Cosa sta succedendo che mi provoca disagio?” e se la risposta è “niente” oppure “non lo so”, non ci scoraggiamo: iniziamo un’esplorazione alla scoperta di noi stessi facendo delle ipotesi: “forse potrebbe essere questo..”. Buona esplorazione!

Il viaggio non finisce mai. Solo i viaggiatori finiscono. E anche loro possono prolungarsi in memoria, in ricordo, in narrazione. Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto: “Non c’è altro da vedere”, sapeva che non era vero. José Saramago

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